Le riflessioni di don Aldo Antonelli, ex parroco di Antrosano, oggi in pensione, e coordinatore di Libera, sulle unioni civili e l’uso del prefisso “catto”:
«“Lo spettacolo andato in scena per settimane intorno alla legge sulle unioni diritti civili, (è) stato tra i peggiori degli ultimi tempi. Una questione che è nervi e sangue per migliaia di coppie omosessuali è stata infatti trasformata in una Torre di Babele fatta di ‘canguri’, inglesismi e ‘affidi rafforzati’ capace di sgomentare qualunque normale cittadino. E se a questo si aggiungono i trucchi e gli sgambetti ideati per lucrare un qualche consenso elettorale, il quadro è completo”. Così scrive Federico Geremicca su La Stampa di Torino il giorno dopo il sabotaggio dell’emendamento detto ‘super-canguro1 da parte del M5S. In effetti la discussione sulle unioni civili avrebbe bisogno “di limpidezza e di rispetto reciproco, invece d’essere posseduta da convenienze politiche, forzature ideologiche, intolleranze religiose”, così come lamenta Stefano Rodotà in un bellissimo servizio apparso su La Repubblica del 20 gennaio scorso. Ad accendere gli animi e a dividere all’interno di uno stesso partito (il PD), c’è poi un prefisso che puntualmente ritorna nel gioco delle parti, quando in Italia si tratta di legiferare su temi sì delicati ma comunque urgenti e che non possono essere lasciati marcire nell’immobilismo del ‘non-si-tocca!’. È il prefisso ‘catto’. È un prefisso che mi allarma, mi mette in sospetto.
Il grande filosofo Augusto Del Noce affermava che l’aggettivo cattolico unito a una qualsiasi espressione ideologica (liberalismo, nazionalismo, comunismo, modernismo) dava un risultato devastante. Il cattolicesimo, infatti, usato come aggettivo e soprattutto come prefisso, tende, da un lato, a sacralizzare la visione ideologica dei problemi con i quali volta a volta si coniuga e, dall’altro, a paralizzare il dibattito silenziando la ragione nella morsa della ‘non negoziabilità’.
Ora, di fronte a questo stallo, procedurale a livello politico e concettuale a livello ideologico, si rende necessaria una doppia azione, riguardante rispettivamente i due ambiti.
In prima istanza bisogna liberarsi dai continui depistaggi. Attorno al problema delle unioni civili e dell’adozione coparentale, più conosciuta come ‘stepchild adoption’, si sono voluti introdurre, in maniera capziosa e fraudolenta, il discorso dell’adozione in genere delle coppie omosessuali e il problema dell’utero in affitto. La maternità surrogata, vietata fin dal 2004, viene così evocata per opporsi all’adozione dei figli del partner, penalizzando proprio quei bambini che si dice di voler tutelare e tornando così a quella penalizzazione dei figli nati fuori dal matrimonio eliminata dalla civile riforma del diritto di famiglia del 1975; come ben ci ricorda Stefano Rodotà nel servizio sopra citato.
In secondo luogo, last bat not least, è necessario andare oltre quel cattolicesimo ‘italiano’ socialmente condizionante, politicamente imponente ma profeticamente fragile che si abbarbica attorno alla dittatura della tradizione (con la t minuscola), si satura di enfiagione nella difesa della legge (con la l minuscola) e distoglie lo sguardo dall’uomo e dalla donna in carne ed ossa che il potere e la storia hanno abbandonato lungo il ciglio della strada e, soprattutto, non considera gli uomini e le donne semplici numeri per dimostrare preconcetti teoremi.
Abbiamo urgente bisogno di riscoprire il cristianesimo della Testimonianza che non sventola bandiere, non urla verità astratte, non difende principi assoluti, non frequenta piazze tramutate in barricate. È indispensabile riprendere una strada coerente con il fatto che si sta discutendo di dignità e identità delle persone, in una Chiesa che fa dell’accoglienza un luogo di rispetto per tutte le ‘diversità’, “aprendo gli occhi difronte alle ingiustizie che impediscono il sogno e il progetto di Dio” (Papa Francesco)».
Redazione Avezzano Informa