L’Aquila - La scomparsa dell’importante manufatto non è dovuta al terremoto del 1703 e neppure al recente disastroso sisma del 2009 che ha letteralmente decapitata la chiesa, per la quale, purtroppo, dopo otto anni ancora non si nota un benché minimo cenno di ricostruzione. Esiste un testimone oculare d’eccezione che, intorno agli anni Sessanta del sec. XVIII, attesta la presenza dell’artistico monumento nella collegiata di Santa Maria Paganica. Si tratta dell’illustre cittadino aquilano Antonio Ludovico Antinori (1704-1778), benemerito storico di cose abruzzesi, nonché fedele servitore della Chiesa, per essere stato dal 1745 al 1757 arcivescovo di Lanciano e successivamente di Matera ed Acerenza.
Già collaboratore del Muratori nel 1731 per la realizzazione dei Rerum Italicorum Scriptores, con il suo ritorno all’Aquila dal 1757 al 1778 ebbe modo di dedicarsi con maggior impegno agli studi storici, la maggior parte dei quali, conservati nella Biblioteca Salvatore Tommasi, ci sono arrivati 51 manoscritti, e sono: Annali degli Abruzzi (volumi 1-24), Corografia storica degli Abruzzi (volumi 25-42), Raccolta delle iscrizioni (volumi 43-47), Monumenti, uomini illustri e cose varie. Annali di Aquila (volumi 48-51).
Ma veniamo all’interessante oggetto della sua testimonianza, che trascriviamo da un suo manoscritto dell’Archivio di S. Maria Paganica, Corografia 48/2. S. Maria di Paganica, pp. 6-7 e p. 9, una copia di quello presente nella Biblioteca Salvatore Tommasi:
«Resta un sepolcro ben elevato in questa Chiesa dalla parte laterale della nave trasversa. Sembra opera del XV secolo, e forse è di Maria Cantelma, che vedova di Giordano Orsini Conte di Manoppello sen venne a L’Aquila, e forse vi morì. La congettura nasce dal trovarsi nell’Archivio di questa Chiesa un real Diploma a lui spedito nel 1438; onde pare che benemerito di questa Chiesa vi eleggesse sepoltura, e legasse qualche cosa, di cui poteva disporre, onde restassero le scritture ancora di quella. Il Sepolcro è magnifico, e rilevato affisso in muro nella piegatura della nave riguardante verso l’altar maggiore. Era prima di essere affisso, quel muro dipinto a varie sacre immagini. Intorno alla cassa di pietra sono scolpite le effigie del Salvatore, e dei SS. Pietro, Giovanni Battista, e Caterina martire. Resta essa cassa vuota; e non vi fu messo il Cadavere; o n’è stato poi tolto via. Su la cassa giace la statua di Donna con manto, e quanti ornati; varij libri sparsi; s’innalzano quindi due colonne le quali sostengono padiglione aperto di qua e di là da puttini alati. Niuna iscrizione e arma gentilizia».
L’Antinori, a p.9 dello stesso manoscritto, ha dei dubbi circa l’attribuzione del monumento e avanza un’altra ipotesi: «Il sepolcro esistente in S. Maria di Paganica sembra di Rita di Acquaviva, che nel 1448 rinunziò il Badessato di S. Maria a Graiano» presso Fontecchio. Nella puntuale descrizione del “magnifico sepolcro” confessiamo di aver pensato all’analogo monumento a Maria Pereyra Camponeschi in S. Bernardino, eseguito dallo scultore Silvestro dell’Aquila nel 1496.
Oltre al monumento, composto da varie sculture, è interessante anche la notizia circa il «muro dipinto a varie immagini». In una copia cartacea coeva di testamento del 20 dicembre 1454 dell’Archivio della Chiesa, si menziona un certo Iacobus Mactutii che lascia disposizione per la costruzione, presso l’altare maggiore, di una cappella patronale dell’Annunciazione, nella quale si dovranno eseguire delle pitture di santi, secondo le modalità scelte dagli esecutori testamentari. Altre notizie di affreschi, oggi scomparsi, perché distrutti o in parte ricoperti nel corso dei restauri fine Settecento - inizio Ottocento, si menzionano in un contratto del 31 maggio 1493, in cui il pittore Sebastiano di Cola da Cosentino s’impegna a terminare l’opera pittorica per la Cappella di Jacopo di Notar Nanni. Lacerti di questi affreschi, insieme a frammenti scultorei e architettonici sono riemersi con il crollo delle pareti nel sisma del 2009 e sono stati presentati a L’Aquila, nel luglio del 2010, in una mostra al Palazzo della Regione, una rassegna documentata da un’ottima guida illustrata, Le macerie rivelano, di AAVV, a cura di Vincenzo Torrieri, della Sovrintendenza Archeologica.
La Guida, a pag. 91 riporta la foto di un frammento scultoreo di cm 31,7x 12,8 x 13, 4 spessore max (Fig. 4), rinvenuto nel crollo del muro presso il braccio destro del transetto, con la seguente descrizione:
«Porzione di bassorilievo su lastra caratterizzato da un drappeggio verticale che avviluppa una cornice con motivo corrente di foglie d’acanto. La tipologia e le caratteristiche iconografiche del manufatto scultoreo sembrano ricondurre ad un monumento funerario (…) collocabile in ambiti culturali XV- XVI sec.».
Il luogo preciso del rinvenimento e la tipologia sembrano rimandare alla notizia del “sepolcro ben rilevato” dell’Antinori. Se così è, che fine hanno fatto l’impalcatura architettonica del monumento e le statue della distesa “donna con manto”, delle statue “del Salvatore e dei SS. Pietro, Giovanni Battista e Caterina martire”, nonché dei “puttini alati”? C’è speranza di un rinvenimento più esauriente, previa indagine termografica, frugando nelle intercapedini del muro? Lo speriamo, anche se siamo ben consapevoli che nelle ristrutturazione dei monumenti nei secoli passati non si aveva, come si tenta di avere oggi, una sufficiente coscienza culturale per preservare in essi i segni importanti del loro vissuto.
Nel 1848, Angelo Leosini, nel lamentare la perdita in S. Maria Paganica della tomba di Salvatore Massonio e del rilievo del conte Gagliardo di Riparola (oggi rinvenuto in frammenti, cfr. Fig. 5), esprime con grande amarezza un giudizio che non possiamo non condividere:
«Coll’andare de’ tempi e col restaurare i vecchi edifici si sono lasciate perire tante memorie che illustravano la nostra città; ed io per primo griderei la croce contro i nostri concittadini che sì poca cura hanno de’ monumenti antichi quasi che fossero di nessun pregio». (A. Leosini, Monumenti storici artistici della città di Aquila e contorni, L’Aquila, 1848, p. 95).
Fulvio Giustizia, storico archeologo